La “percezione” sociale dello spazio naturale costruito

Il progresso tecnologico degli strumenti di ripresa nelle mani di ognuno di noi, hanno un sostanziale impatto sul linguaggio visivo e stanno generando sempre nuove forme di comunicazione oltre ad influenzare fortemente l’estetica della visione. La possibilità di poter comunicare “istantaneamente” ha provocato un tempo di pensiero sempre più breve, senza limitazioni, “senza filtri” che influenza la percezione dei luoghi, ormai intesi come palcoscenico privato/pubblico dell’individuo.

 

Gli studi di Goffman e Turner circa la drammaturgia che permea il vivere quotidiano ci consentono di stabilire una analogia tra città e palcoscenico (…), rivelando lo spazio pubblico come spazio eminentemente rituale (cfr. Francesco Lenzini, Riti Urbani, Qodlibet Studio, Macerata 2017, p.33.)

 

La documentazione del contemporaneo, in particolare dell’ambiente urbano ed architettonico, si divide principalmente in visioni estremamente contrapposte e lontane dei luoghi, una forte frammentazione dello sguardo enfatizzata dalle reti digitali.

A mio avviso il ruolo del fotografo contemporaneo è cambiato, perché il comunicatore-influencer incide maggiormente sulla visione comune e per questo bisogna adattarsi, trasformarsi, è richiesto uno sforzo (un ruolo) importante al professionista, ovvero ragionare nella logica di rieducare lo sguardo collettivo.
I professionisti contemporanei si rifanno con maggiore frequenza ai grandi autori come Ghirri, Basilico, Guidi (quasi per giustificare inconsciamente la loro azione) mostrando gli spazi patinati, puliti ed ordinati, immagini di una realtà ipotetica, utopistica, falsamente reale.
Visioni ed immagini, che possono perdurare solo in un libro o catalogo per un pubblico sempre più ristretto di professionisti del settore, che spesso sono in forte contrasto con le ricerche sociologiche, demografiche e metodologiche che hanno animato la spinta progettuale per quelle aree.

La cosa più difficile è scavalcare Ghirri (Michele Smargiassi)

Inizia così l’articolo di Michele Smargiassi (http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2014/07/11/ghirri-in-italy-reloaded/?refresh_ce) nel descrivere l’interessante lavoro collettivo curato da Fulvio Bortolozzo in “Questo paese”, una rivisitazione del “Viaggio in Italia” ghirriano, senza pretese, una sequenza di immagini che rispettosamente osservano la nostra contemporaneità, con un attenzione verso l’individuo ed il luogo vissuto.
Lo sguardo ‘collettivo’ è sempre più rivolto ai cambiamenti, al multiculturalismo ed al ‘multiforme’, all’espressione del momento ‘vero’, un nuovo senso globale legato alla presenza sul web, una sorta di “posto per cui sono”, che ha modificato il nostro concetto di esistenza e l’immaginario fotografico odierno, ben analizzato in “iRevolution” di Irene Alison (edito da Postcart, Roma 2015).

 

Investigare le contrapposizioni tra le identità visuali sullo spazio costruito e come queste vengono percepite, attraverso la distopia delle visioni patinate e quelle reali di chi opera sul territorio.

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